Patti prematrimoniali (Prenuptial agreements)

Patti prematrimoniali (Prenuptial agreements)

Malgrado alcune aperture da parte della dottrina e, più timidamente, della giurisprudenza di legittimità, dalla proposta di legge del 2014 non sono stati fatti grandi passi avanti per l’approvazione dei c.d. accordi prematrimoniali in previsione della crisi dei rapporti coniugali o delle unioni civili, pacificamente ammessi e regolamentati in altri paesi.
L’approvazione, nel 2016, della legge Cirinnà, costringe inevitabilmente ad affrontare anche la previsione delle conseguenze patrimoniali e personali del naufragio del rapporto affettivo in ogni sua forma, e la legge delega al Governo del 2019 rappresenta una nuova apertura.Da Brad Pitt e Angelina Jolie, da George Clooney e Amal, o passando per Hollywood come i protagonisti del film “Prima ti sposo, poi ti rovino”, con la proposta di legge del 2014 siamo giunti, anche in Italia, alla necessità di dover ragionare sui c.d. patti prematrimoniali.
E già perchè, le celebrità appena citate, sono solo alcuni esempi di coppie, più o meno famose, che hanno ritenuto necessario sigillare il loro (vero?) amore sottoscrivendo i c.d. prenuptial agreements, accords prenuptiaux o, per rimanere più vicini a noi, intese inter coniuges.
Seppur già diffusi nei paesi di common law, e anche in Francia e Germania, nel nostro ordinamento non vi è ancora la possibilità di regolamentare in via preventiva le possibili conseguenze patrimoniali e personali della crisi coniugale, l’indirizzo della vita familiare e l’educazione della prole.
La proposta di legge n. 2669 del 2014, a firma dei deputati Morani e D’Alessadro, è sicuramente volta ad attribuire maggiore autonomia negoziale alle parti interessate, laddove la medesima autonomia è stata già riconosciuta con l’introduzione della negoziazione assistita, il c.d. divorzio breve e le unioni civili.
Certo è che dal 2014 ad oggi anche il termine “prematrimoniale” appare fortemente limitativo a fronte dell’introduzione di altre figure quali le unioni civili o le convivenze di fatto, a riprova di come la società si muova più velocemente del diritto.
In questa cornice si colloca la proposta di introdurre il nuovo art. 162 bis c.c. laddove si prevedono contenuto e forma degli accordi prematrimoniali e/o preventivi della crisi coniugale, da stipularsi, a pena di nullità, con atto pubblico redatto da un notaio alla presenza di due testimoni o mediante convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi dell’art. 2 del D.L. 132/2014, convertito dalla Legge 162/2014.
La Cassazione nel 2012, con la sentenza n. 23713, ha ritenuto la validità degli accordi patrimoniali intervenuti tra i coniugi in vista della separazione e del divorzio, volti alla restituzione delle spese sostenute dal marito per la ristrutturazione dell’immobile della moglie, non spingendosi oltre ed evitando una valutazione ormai non più procrastinabile che tenga conto dell’equilibrio degli interessi delle parti coinvolte.
Con la sentenza n. 2224/2017 la Suprema Corte torna indietro, ribadendo la nullità degli accordi prematrimoniali per illiceità della causa laddove i coniugi stabiliscano, in sede di separazione, un futuro regime giuridico patrimoniale determinato dal divorzio, motivando con l’indisponibilità dei diritti matrimoniali.
Nel 2019 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge con delega al Governo per la revisione del Codice civile avente ad oggetto la revisione della disciplina dei patti successori e la questione dei patti prematrimoniali (Fonte IlSole24ore).
La delega prevede la possibilità di sottoscrivere gli accordi prematrimoniali anche per chi ha già contratto matrimonio, per le coppie omosessuali che hanno sigliato una unione civile, mentre per i conviventi soccorre la legge Cirinnà che ha autorizzato i patti di convivenza, relativi alle coppie di fatto.
Non potrà ignorarsi ancora per molto, però, che i patti prematrimoniali costituiscono indubbiamente una istantanea obiettiva di quelle che sono state le consuetudini e gli equilibri, patrimoniali e non, della coppia quando ancora credeva nel “finchè morte non ci separi”, quantomeno per consentire al giudice, in sede di separazione o divorzio, di adottare provvedimenti maggiormente adesivi alle abitudini della famiglia, qualsiasi essa sia.